Le life skills e la performance sportiva

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a cura di Ernani Savini

Le life skills sono state individuate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità in un documento del 1994 all’interno di un programma di promozione della salute e del benessere di bambini e adolescenti. Sono un insieme di competenze utili per adottare un comportamento positivo e flessibile e far fronte con efficacia alle esigenze e alle difficoltà che si presentano nella vita di tutti i giorni. Prima però di parlare delle singole life skills, occorre fare alcune premesse.

Innanzitutto chiarire come, secondo una nota definizione di Jürgen Weineck, la performance sportiva non sia ciò che un atleta “sa fare”, ma ciò che un atleta - e la squadra - riescono a produrre in un determinato momento in base ad una complessità di fattori (tecnici, condizionali, cognitivi, sociali, psichici e genetici). Pensare di concentrare l’attenzione solo su alcuni di questi fattori, trascurandone altri, rischia di pregiudicare fortemente la prestazione sportiva per cui ci si prepara.

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[immagine tratta da J. Weineck, L'allenamento ottimale, 2009]

È inoltre fondamentale conoscere l’esistenza di aree neurali specifiche legate alle emozioni (il cosiddetto “cervello emotivo”: amigdala, corteccia del cingolo, corteccia orbitofrontale, insula), e che queste aree hanno dei tempi di attivazione precisi. Ad esempio, di fronte ad uno stimolo elicitante, nei primi 100msec si attivano le strutture che identificano la provenienza dello stimolo e attivano l’allarme (amigdala), successivamente fino a circa 200msec vengono coinvolte le aree visive per categorizzare, codificare e riconoscere lo stimolo; solo dopo i 300msec, invece, iniziano i processi decisionali e la valutazione cognitiva del valore emotivo dello stimolo.

L’attivazione dell’amigdala provoca delle risposte fisiologiche inconsapevoli (ad esempio, l’immissione in circolo di neurotrasmettitori, l’aumento di frequenza cardiaca, l'attivazione muscolare e dell’intestino): di fatto la prima reazione allo stimolo non è “controllabile” consciamente, e tentare di evitare o dominare le emozioni nostre o dei nostri atleti è un tentativo - per definizione - destinato a fallire.

Infine, occorre chiarire i rapporti fra attivazione emotiva e rendimento. In linea di massima, maggiore è l’attivazione, migliore è il rendimento nell’eseguire una prestazione. D’altra parte, sappiamo bene come una notevole attivazione, come l’ansia prima e durante la gara, possa facilmente comprometterne l’esito. In più, non è solo il livello di attivazione a influire sul rendimento, ma anche la complessità del compito. A livelli di attivazione elevati, il rendimento cala in misura minore quando si eseguono compiti semplici. In caso di compiti complessi, invece, l’elevata emotività può interferire con la prestazione.

Essere consapevoli di ciò, può risultare fondamentale in diversi momenti della vita di un allenatore con la squadra: dalla scelta delle esercitazioni e del momento dell’allenamento in cui eseguirle, al modo in cui si sviluppa il riscaldamento prepartita, fino a cosa dire in un time out a pochi minuti dalla fine di una partita con il punteggio in bilico.

 

LE LIFE SKILLS

Le life skills sono competenze trasversali organizzate in tre gruppi:

  • la sfera emotiva (consapevolezza di sé, gestione delle emozioni e gestione dello stress);
  • la sfera della comunicazione (empatia, comunicazione efficace e relazione efficace);
  • la sfera cognitiva (pensiero critico, pensiero creativo, problem solving e decision making).

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SFERA EMOTIVA.

CONSAPEVOLEZZA DI SÉ. È un’abilità riassumibile nell’esortazione scritta sul tempio di Apollo a Delfi, “Conosci te stesso”: i propri punti di forza e debolezza, come si reagisce alle situazioni, le proprie preferenze, i propri desideri, bisogni ed emozioni. Questa conoscenza permette di prevedere come affrontare certe situazioni e scegliere i comportamenti migliori per risolverla.

Per migliorare questa consapevolezza la cosa fondamentale è chiedersi cosa si pensa, prova o fa quando si presenta una situazione? Bisogna fare attenzione a non farsi influenzare dal “come dovremmo essere” che le convenzioni ci suggeriscono, ma che potrebbero non essere adeguate al nostro reale modo di essere e ai nostri desideri.

GESTIONE DELLE EMOZIONI. È la capacità di agire invece che re-agire, scegliendo i propri comportamenti senza farsi condizionare e dominare dalle emozioni affinché si possa diventare padroni di sé stessi ed essere efficaci nelle proprie azioni. Dare un nome alle emozioni che proviamo permette di avere comportamenti intenzionali.

Per migliorare nella gestione bisogna domandarsi sull’emozione che si sta provando, definendola e percependola a livello del corpo.

GESTIONE DELLO STRESS. Si differenzia dalla gestione delle emozioni perché lo stress riguarda una pressione che avviene dall’esterno (situazione di gara, pubblico, allenatore, ecc.). Gestirlo significa riconoscerlo, trovare le cause e individuare strategie per modificare l’ambiente o sé stessi per tornare a uno stato di benessere psicofisico. Come nella gestione delle emozioni, però, le tecniche di gestione sono le stesse.

 

SFERA DELLA COMUNICAZIONE.

EMPATIA. È la capacità di mettersi nei panni degli altri, riconoscendo le emozioni altrui e condividendole, senza emettere giudizio, per questo non va confuso con il pensare “cosa farei io al suo posto”. Accettare e comprendere le emozioni altrui è la base per sviluppare buone relazioni con gli altri.

COMUNICAZIONE EFFICACE. L’empatia è la base per una comunicazione efficace, una comunicazione in cui il messaggio, chiaro e coerente con il proprio stato d’animo, che si esprime viene compreso dal destinatario.

Non si può tirare un calcio e sbraitare dopo un errore di un proprio giocatore e non appena torna in difesa dirgli “dai, bravo, non fa niente”. Questa è comunicazione inefficace. È inefficace seguire la strada semplice del “non ha capito cosa gli ho detto”; dobbiamo invece seguire la strada giusta del rivedere e migliorare la propria comunicazione per renderla efficace.

RELAZIONE EFFICACE. Una relazione è definita efficace quando si può affermare sé stessi, rispettando l’altro, senza prevaricarlo e senza sottomettersi. Bisogna accettare che l’altro esiste, con i suoi bisogni e le sue opinioni, probabilmente diversi dai propri. Ciò genera relazioni autentiche e fiducia in sé stessi e negli altri.

Non significa che in un gruppo c’è l’anarchia e ognuno fa ciò che gli pare, ma che viene stabilito dove finisce uno e inizia l’altro.

 

Si possono definire quindi tre stili di allenatore:

  • AGGRESSIVO. Competitivo, non gestisce le sue emozioni, umilia, insulta, non si interessa del perché gli altri si comportano in un certo modo, fa molta fatica ad ascoltare, critica in maniera distruttiva, provoca timori negli altri e magari alleanze contro di lui.
  • PASSIVO. Non si assume mai dei rischi, è d’accordo con il gruppo anche quando non lo è in realtà, cerca approvazione e protezione, è servizievole e obbediente, evita il conflitto, ha un tono di voce basso ed è poco diretto ed esitante.
  • ASSERTIVO. Fa ciò che è necessario per raggiungere gli obiettivi senza calpestare le altrui personalità. Sicuro di sé e degli altri, realistico nelle aspettative, empatico, coerente con le parole che dice, attivo nell’ascolto e orientato alla gratificazione (sia di sé stesso che degli altri).

È piuttosto improbabile che una persona (e quindi un allenatore) sia sempre e solo uno di questi profili; acquisire consapevolezza su quale “schema“ più spesso si attiva è il primo passo per convergere sempre più verso una modalità assertiva, efficace e costruttiva.

 

SFERA COGNITIVA.

PENSIERO CRITICO. È la capacità di analizzare informazioni, situazioni ed esperienze in modo oggettivo, distinguendo la realtà dalle proprie impressioni e dai propri pregiudizi.

Avere pensiero critico non significa criticare tutto ciò che viene detto, ma valutare le informazioni ricevute e/o raccolte e capire il perché stanno accadendo certe cose.

PENSIERO CREATIVO. È la capacità di pensare alternative e avere idee originali per trovare soluzioni e uscire da situazioni difficili o di stallo. Un buon metodo di sviluppo è il brainstorming, cioè il trovare il maggior numero di soluzioni a un problema, anche inverosimili o buffe.

PROBLEM SOLVING. È l’abilità di individuare soluzioni efficaci ad una situazione, tenendo presente il contesto e le persone coinvolte. Non avere un metodo nel gestire le situazioni aumenta il livello di stress con conseguenze sulla gestione delle emozioni, della comunicazione e delle relazioni.

Parlare di questa skill ci permette di interrogarci su quale sia il ruolo dell’allenatore: è colui che trova le soluzioni o è chi crea dei giocatori in grado di risolvere le situazioni in campo? Siccome un allenatore in partita sarà sempre almeno un’azione in ritardo rispetto all’errore commesso o alla nuova situazione creatasi, l’obiettivo è fornire ai propri giocatori il maggior numero di strumenti per risolvere in autonomia un problema.

Definire il problema, proporre soluzioni, scegliere una strategia e poi valutarne i risultati queste sono le fasi di un buon problem solving.

DECISION MAKING. La capacità di prendere decisioni valutando le diverse possibilità e le conseguenze che ne derivano con l’idea di essere intenzionale e guidare le scelte che determinano la propria vita. Bisogna imparare a valutare i pro e i contro, pratici ed emotivi.

Nelle nostre esercitazioni quanto tempo dedichiamo alla presa di decisione dei nostri giocatori?